Non sono molti i dati documentari finora reperiti sulla Cappella. È noto l'atto di acquisto (6 febbraio 1300) del terreno, comprendente i resti dell'antica arena romana, su cui venne edificata; di conseguenza, conosciamo il nome del proprietario: Enrico Scrovegni. Tuttavia, non esiste alcuna testimonianza che riguardi direttamente la costruzione e la decorazione del monumento, il tempo in cui furono eseguite, l'autore (o gli autori), di esse. Agevolato forse dal bisogno di liquidità dell'acquirente, Enrico Scrovegni acquista da Manfredo Dalesmanini l'intera Arena, che aveva un grande valore perché comprensiva di un complesso di immobili costituiti da un palazzo con annessi bagni caldi e altri edifici accessori, stalle per cavalli, due torrioni o "dongioni" eretti sulle due porte d'ingresso, rispettivamente verso gli Eremitani e verso il fiume. Da un documento del l° marzo 1304, un'indulgenza concessa da papa Benedetto XI ai fedeli che avessero visitato la chiesa della Beata Maria Vergine della Carità dell'Arena, si può ragionevolmente desumere che a quella data la Cappella fosse agibile a fini di culto e che pertanto doveva essere stata ultimata almeno nelle sue strutture murarie, mentre l'iscrizione su una lapide ora perduta consentirebbe di fissare la 'dedicazione' dell'edificio al 25 marzo dell'anno precedente (1303). Al 9 gennaio 1305 risale una vibrata protesta e diffida da parte dei frati agostiniani del vicino monastero degli Eremitani a continuare i lavori in maniera difforme da quanto concesso in origine dal vescovo: gli Eremitani si ritenevano gravemente danneggiati dalla trasformazione di quello che avrebbe dovuto essere un oratorio strettamente privato in una chiesa aperta al pubblico culto e quindi oggettivamente in concorrenza con il loro convento e interpretavano l'erezione di un campanile come l'atto culminante di una subdola manovra. Risulta inoltre che il 16 marzo successivo il Maggior Consiglio di Venezia concesse in prestito a Enrico Scrovegni dei "panni" (si è pensato ad arazzi o a paramenti sacri e tovaglie d'altare) provenienti dalla basilica di San Marco per la consacrazione di "una sua cappella a Padova". Appare del tutto plausibile che la cappella sia quella dell' Arena e, altresì, che la cerimonia abbia avuto luogo in occasione dell'imminente festività dell'Annunciazione (25 marzo), che quell'anno risulta essere stata caratterizzata dallo svolgersi della Sacra Rappresentazione su quel tema nello spiazzo antistante il nuovo edificio. Le modifiche in corso d'opera: che l'edificio abbia subito mutamenti in corso d'opera non può essere messo in dubbio: ne è prova indiretta il 'modello' della Cappella offerto da Enrico alla Vergine nell'affresco del Giudizio Universale, ma ne restano anche tracce evidenti e indizi non trascurabili nel corpo dell'opera. Non si sa nulla, ancora oggi, della storia della Cappella fino all'800, quando rischiò di scomparire per il disinteresse dei nuovi proprietari (i Foscari Gradenigo) che avevano lasciato crollare il portico sulla facciata ed il palazzo fatto costruire da Enrico. Questi eventi si rifletterono negativamente sulla Cappella, rimasta senza appoggio e priva di protezione sul lato sinistro e sulla facciata. L'intervento del Comune, che nel frattempo l'aveva acquistata (1881), servì ad impedirne la perdita, ma sia l'edificio che gli affreschi erano già gravemente danneggiati. Se ne ha conferma nella scena della dedica della Cappella alla Vergine: senza la necessità di utilizzare un libro dei sogni si può interpretare la simbologia del gesto, che aveva appunto il significato di restituire simbolicamente quanto era stato lucrato mediante l'usura, condizione posta dalla Chiesa per rimettere quel peccato. Altre conferme si possono trovare nella presenza notevolissima di usurai nelle scene dell'Inferno, nel Giuda impiccato che fronteggia il Giuda che riceve la borsa dei trenta denari, nella figura allegorica dell'lnvidia. Tornando alla scena della dedicazione, Enrico veste il viola (colore della penitenza), ma si fa collocare nel settore destinato ai beati, sotto l'immagine protettrice della croce; egli, inoltre, militava in seno all'Ordine dei Cavalieri Gaudenti i cui compiti principali consistevano nella lotta all'usura e nella devozione alla Vergine. Fin dall'inizio, però, Enrico dovette avere un'altra intenzione, più 'privata' e pertanto meno edificante, ma in compenso più ' utilitaria': adibire il nuovo edificio a cappella funeraria, come sembra si possa desumere dalla copertura a botte simulante un cielo stellato, singolarmente vicina ai monumenti sepolcrali paleocristiani di Ravenna. Trattandosi però di una cappella collegata al palazzo padronale, la destinazione può apparire del tutto naturale. Tale comunque divenne, vivente ancora Enrico, e mantenne poi a lungo questo carattere: vi furono seppelliti in seguito non solo la moglie, ma anche due nipoti. Tuttavia la dimensione 'pubblica' era forse preponderante fin dall'origine rispetto a quella 'privata' e finì col prevalere: la loro compresenza caratterizza comunque inconfondibilmente il ciclo giottesco e si riflette sull'estrema complessità dei piani di lettura delle immagini, dislocate tutt'intorno al riguardante. |
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